di Giuseppe Longo

“Ribolla gialla, vino bandiera del Friuli Venezia Giulia: radici, presente, futuro.”
Questo il titolo davvero stimolante del convegno che si terrà sabato prossimo, nell’ambito della 14° edizione di “Oleis Olio & Dintorni” in programma nella frazione collinare di Manzano dal 25 al 27 maggio.

L’incontro si aprirà alle 11 al Foledor di Villa Masieri e spazierà dai “cru” vocati a vite e ulivo – e il nome del paese, Oleis, sta a dimostrare che qui già dai tempi antichi si coltiva la nobile pianta tipica del Mediterraneo – alla storia, dalla ricerca alla sperimentazione, dai mercati alle situazioni economico-produttive e quindi alle prospettive di questa vecchia varietà autoctona dei vigneti friulani.
Parleranno Adriano Del Fabro, giornalista, direttore responsabile di Sole Verde (Ribolla gialla, una storia di numeri); Paolo Sivilotti e Piergiorgio Comuzzo, docenti del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali dell’Università di Udine (Il progetto Ribolla gialla: prospettive per la creazione di sinergie tra ricerca e produzione); Fabijan Muzic, enologo (Ribolla e macerazione); Marco Stocco, tecnico Ersa Fvg (La Ribolla gialla, dalle tecniche di coltivazione alle prospettive di mercato).
I lavori saranno moderati dall’agronomo Claudio Fabbro e saranno conclusi da una degustazione guidata di alcune Ribolle del territorio.
Fari puntati, dunque, su questo storico vitigno dei nostri vigneti, soprattutto di collina, uno dei vanti anche della vicina Rosazzo, area fra le più prestigiose dei Colli orientali tanto da essere stata codificata ufficialmente come sottozona, o meglio ancora “cru”*, come direbbero i francesi che in materia sono maestri e vantano una lunghissima tradizione.
La varietà, poi, concorre da sempre a creare l’uvaggio che dà origine al famoso Bianco del Collio, la prima zona Doc a essere stata riconosciuta in Friuli Venezia Giulia nel lontano 1968, quindi esattamente mezzo secolo fa.
Ma i suoi grappoli inconfondibili danno grandi vini bianchi anche nella Brda, il contermine Collio sloveno in particolare nella zona di Casteldobra.  E loro la chiamano Rebula, mentre in friulano è Ribuele.
Un vino bianco da sempre conosciuto e amato per la sua freschezza e sapidità, ideale per accompagnare un buon piatto di pesce dell’Adriatico o anche di una più delicata trota dei nostri fiumi, e pure semplicemente di formaggio e prosciutto.
Ma la sua notorietà è praticamente esplosa – il termine non è esagerato – in questi ultimi anni, da quando si è cominciato a spumantizzarla tanto da diventare ben presto un vero e proprio fenomeno commerciale da seguire con attenzione.
La qualità delle bollicine di Ribolla è infatti notevole, così da incontrare i gusti dei consumatori soprattutto più giovani, facendosi anche preferire al Prosecco.
Solo che le quantità non sono paragonabili e quindi anche il prezzo ne risente, per cui il vino frizzante ottenuto dal Glera ha ancora la strada spianata.
Molto opportuno, dunque, questo convegno di Oleis: peraltro, dove c’è un grande vino c’è anche un grande olio, e viceversa, ha giustamente osservato il dottor Fabbro. Fornirà una valida occasione per fare il punto proprio su questo “caso Ribolla” – mi piace chiamarlo così – e analizzare le prospettive che si dischiudono, soprattutto in seguito all’esclusiva per il Friuli Venezia Giulia che la nostra Regione è riuscita a ottenere l’anno scorso, grazie alla tenacia dell’allora assessore Cristiano Shaurli, dal Comitato nazionale vini istituito presso il Ministero dell’ agricoltura.
Molto interessante, al riguardo, si annuncia il citato Progetto che verrà esposto dai due professori dell’Ateneo friulano.
E allora è proprio il caso di studiare meglio il fenomeno e alla fine alzare i calici.
Ferma o spumantizzata poco importa. Ognuno sceglie la Ribolla che ama di più.
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in copertina : Uno scorcio della Brda, il Collio sloveno a Casteldobra (in sloveno Dobrovo).
qui sotto, panoramica di  : Vigneti nella zona di Dolegna del Collio.
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*   <<N.d.R.   Il termine cru è un francesismo che nel corso degli anni ha assunto un significato sempre più complesso e di non facile traduzione, nell’ambito di diverse coltivazioni agricole.Nel linguaggio comune il termine sta a indicare un singolo vigneto con le proprie caratteristiche particolari ma in alcune regioni vitivinicole il concetto è esteso a un territorio fino a comprendere un intero villaggio. Attualmente viene usato anche nell’olivicoltura.

Per poter differenziare qualitativamente le produzioni di vari villaggi, all’interno di una singola appellation, è stata ideata la scala dei cru, un sistema di valutazione su base percentuale che riconosce al miglior prodotto il valore di 100% e classifica gli altri, ovviamente di minor pregio, tenendo il migliore come punto di riferimento. Lo scopo di questa classificazione è dare un prezzo alle uve provenienti dalla vendemmia nelle zone della singola appellation.

Crus e vigneti

Il significato molto complesso del termine cru dipende dalle varie classificazioni dei prodotti da parte degli organi che regolamentano i disciplinari di produzione di ciascuna singola zona vitivinicola francese.

Nella regione dello Champagne un vino mono-cru è realizzato con uve provenienti da uno specifico villaggio, in Alsazia e in Borgogna il vino realizzato con un solo cru è prodotto con uve riconducibili a un preciso vigneto dal quale prende il nome e che troviamo scritto sull’etichetta.

Nella zona del Bordeaux la scala dei cru non ha la stessa valenza di quella delle altre regioni vinicole francesi.

Per i vini prodotti nel Medoc infatti si adotta la scala del 1855 voluta da Napoleone III che prevedeva una scala che vedeva al suo vertice i PREMIERS CRUS classés ed a seguire i

DEUXIÈMES CRUS, TROISIÈMES CRUS, QUATRIÈMES CRUS, CINQUIÈMES CRUS.

Non sempre questa classificazione è coerente con la qualità intrinseca del vino prodotto, non è raro che alcuni troisièmes possano essere alla pari di un premier e ben al di sopra di un deuxième.

Alcuni vigneti in Alsazia, che non si fregiano dell’appellativo Grand Cru producono vini che valgono più di quelli blasonati.

Anche se è innegabile che un cru classificato non possa non dar corso a un ottimo prodotto, a volte, bere un vino proveniente da un vigneto senza grandi riconoscimenti può essere un’esperienza appagante sotto tutti i profili gustativi.

Italia

Non esiste, nella legislazione italiana, una classificazione gerarchica dei “microterritori” analoga a quella vigente da secoli in Francia. Tuttavia, molte denominazioni, soprattutto quelle storiche e famose, prevedono delle “sottozone”. Ma l’analogia più consona con il cru francese è la menzione (geografica aggiuntiva) ovvero il nome del comune o frazione o vigneto (in questo caso, la legge, prevede anche l’apposizione “vigna”) che si appone alla denominazione. Il Barolo è l’esempio più illustre.

fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cru     >>

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